[da “Istituto per gli studi di politica internazionale”]

A partire dallo scorso settembre, la Tunisia è entrata in una delle fasi più delicate del proprio percorso politico e istituzionale.

Per motivi costituzionali, la morte del presidente Beji Caid Essebsi, avvenuta lo scorso 25 luglio, ha costretto il paese ad anticipare le elezioni presidenziali. Il primo turno si è svolto il 15 settembre, prima delle elezioni parlamentari del 6 ottobre, le quali da programma avrebbero dovuto dare il via alla stagione elettorale. Questo cambio di agenda ha assegnato alle elezioni presidenziali una centralità finora inedita nella storia politica tunisina post-2011. In un contesto politico e sociale caratterizzato da un fortissimo senso di disillusione e antagonismo verso l’attuale classe politica, il nuovo calendario elettorale ha permesso a figure percepite come lontane dal sistema politico del paese di risaltare maggiormente nel corso della campagna elettorale per le presidenziali.

Il voto del 15 settembre, che ha effettivamente premiato due candidati non appartenenti alla classe politica tunisina, ha sferrato un primo colpo al sistema che ha governato il paese dal 2011. Il secondo colpo è arrivato dalle elezioni parlamentari, in cui i partiti membri dell’ultima coalizione di governo hanno sofferto un forte calo di consensi. Questa ondata anti-sistema ha poi raggiunto il culmine al ballottaggio per le presidenziali con la vittoria di Kais Saied, il candidato più distante, nella forma e nella sostanza, dall’élite politica del paese.

L’attuale fase politica, complessa ma anche portatrice di una nuova ventata di speranza per i cittadini tunisini, non ha però distolto la maggioranza della popolazione dalle sue preoccupazioni principali, ossia l’andamento dell’economia e il declino delle proprie condizioni di vita. Le statistiche rilasciate al termine del 2019 hanno infatti evidenziato il protrarsi di una serie di problematiche di lungo corso relative all’economia del paese, tra cui spiccano la lenta crescita economica, l’alta disoccupazione, soprattutto tra i cittadini più giovani, il crescente livello di indebitamento dello stato e l’inflazione, che continua a erodere il potere d’acquisto dei tunisini.

Ad affiancare una fase interna complessa, in cui si sta delineando una serie di sfide che il nuovo governo e il nuovo presidente dovrà affrontare, inizia a pesare sulla Tunisia anche il contesto internazionale: il protrarsi e l’intensificarsi del conflitto libico, sempre più regionalizzato e internazionalizzato, rischia infatti di avere ricadute sempre più pesanti sul paese.

Quadro interno

Il ballottaggio delle elezioni presidenziali del 13 ottobre è stato un vero e proprio plebiscito per il neo presidente Kais Saied, il quale ha ottenuto il 72,71% dei voti. Saied ha battuto lo sfidante Nabil Karoui, imprenditore conosciuto al grande pubblico tunisino anche grazie al canale televisivo di sua proprietà, Nessma TV, e alla sua fondazione caritatevole Khalil Tounes, rivelatasi cruciale nell’ottenere consenso tra le classi meno abbienti. Karoui, nonostante nel 2012 fosse stato uno dei principali artefici della creazione del partito secolare Nidaa Tounes, si è presentato alle presidenziali come un candidato di stampo populista, attento ai bisogni dei ceti più bassi della società tunisina, e distante dai partiti politici esistenti. Il magnate, dopo essere stato arrestato il 23 agosto con l’accusa di riciclaggio di denaro, ha trascorso la quasi totalità della campagna elettorale in carcere, venendo rilasciato solo il 9 ottobre. Le tempistiche del suo arresto hanno sollevato dubbi sulle reali motivazioni dell’inchiesta, dal momento che essa si basa su prove fornite già nel 2016 dall’Ong anticorruzione I Watch.[1]

Nonostante Karoui sia stato in grado di raccogliere un largo consenso tra i cittadini meno abbienti e meno istruiti, ricevendo inoltre il supporto di un’importante fetta di ex sostenitori di Nidaa Tounes, Saied ha ottenuto agilmente la vittoria assemblando una coalizione molto larga. Il neo presidente ha infatti ottenuto il supporto della stragrande maggioranza dei giovani del paese, dei cittadini più conservatori e della classe media urbana. Anche una certa parte dell’elettorato di sinistra, particolarmente attenta a temi quali la corruzione nel paese, ha deciso di appoggiarlo, non potendo vedere di buon occhio un candidato alle prese con la giustizia come Karoui.

Saied ha svolto una campagna elettorale a bassissima intensità e con uno staff ridotto, preferendo affidarsi a una folta schiera di volontari, reclutati soprattutto tra i suoi più giovani supporter, e preferendo ai classici raduni politici un approccio più localizzato, fatto d’interazioni dirette con piccoli gruppi di cittadini. Ciò ha permesso di adottare messaggi di volta in volta su misura per il tipo di audience con cui il candidato si trovava a interagire, donandogli un’aura di uomo del popolo vicino, anche fisicamente, ai cittadini tunisini.

Per quanto riguarda la sua piattaforma elettorale, Saied è un personaggio politico difficilmente categorizzabile in schemi tradizionali. Di orientamento saldamente conservatore su tematiche sociali, Saied si è espresso a favore della pena di morte, ha manifestato la sua opposizione alla proposta di legge sull’eredità presentata dal defunto presidente Essebsi, la quale avrebbe equiparato uomini e donne nella distribuzione delle eredità, e si è pronunciato a favore della criminalizzazione dell’omosessualità.[2] Durante il suo discorso inaugurale tenutosi il 23 ottobre, il presidente ha però anche affermato la necessità di rafforzare ed espandere i diritti delle donne.[3]

Un ulteriore elemento centrale della sua, peraltro scarna, piattaforma elettorale è la proposta di una profonda riforma del sistema elettorale, che trasferisca una parte del potere politico dai partiti ai singoli cittadini, attraverso una decentralizzazione del potere a livello locale. Nello specifico, tale riforma prevede l’abolizione di elezioni parlamentari dirette, a favore di un sistema nel quale i parlamentari siano invece designati da consigli locali e regionali, i cui membri verranno eletti dalla popolazione attraverso un sistema uninominale.[4]

In merito ai temi economici, sebbene nel corso della campagna elettorale non abbia delineato chiaramente una sua visione, il neo presidente ha espresso il suo supporto per un forte coinvolgimento dello stato nell’economia tunisina.

Se le presidenziali hanno consegnato un chiaro vincitore, le elezioni del 6 ottobre hanno invece dato vita a un parlamento estremamente frammentato. Le principali forze politiche, già colonne portanti dei governi post-2011, cioè Ennahda, partito conservatore di tradizione islamista moderata, e Nidaa Tounes, partito secolare e centrista, hanno subito un forte ridimensionamento. Nidaa Tounes, dopo aver affrontato varie scissioni nel corso della precedente legislatura, ha ottenuto solamente l’1,51% dei voti, equivalenti a 3 seggi. La maggior parte dei suoi ex sostenitori gli ha preferito due nuove formazioni politiche di orientamento centrista: Tahya Tounes, il partito dell’ex primo ministro Youssef Chahed, nato proprio da una scissione da Nidaa Tounes, e il partito del magnate Nabil Karoui, Qalb Tounes, fondato nel giugno 2019. I due partiti hanno raccolto rispettivamente il 4,08% e il 14,55% dei voti, equivalenti a 14 e 38 seggi. Ennahda, nonostante un importante calo dei consensi, è stato il partito più votato, con il 19,63% dei voti e 52 seggi. Malgrado il risultato relativamente positivo, che ha permesso al partito di eleggere il proprio leader Rached Ghannouchi come presidente del parlamento e di giocare un ruolo centrale nella formazione del prossimo governo, Ennahda sta attraversando una fase di crisi. Il momento di difficoltà è figlio dell’incapacità del partito di portare avanti la propria agenda politica all’interno dei governi di coalizione di cui ha fatto parte, nonché di una crisi di identità che ha spinto il partito su posizioni sempre più moderate, nel tentativo di non essere percepito come una possibile minaccia all’ordinamento democratico del paese.[5] Il suo riposizionamento ha però aperto uno spazio politico alla sua destra, che è stato occupato in primis dalla coalizione al-Karama, formazione islamista radicale, che ha ottenuto il 5,94% dei voti e 21 seggi.

Una crescita importante ha riguardato anche il Partito Desturiano Libero, formazione nostalgica del regime pre-2011, critico nei confronti della rivoluzione, nazionalista e fortemente anti-islamista, che con il 6,63% dei voti è stato il terzo partito più votato.

I maggiori partiti di centro-sinistra, Attayyar, e di sinistra, il movimento Echaab, hanno raccolto rispettivamente il 6,42% e il 4,53% dei voti, equivalenti a 22 e 15 seggi. I due partiti, assieme a diverse altre formazioni minori, hanno aderito al medesimo gruppo parlamentare, il Blocco democratico, che con i suoi 41 rappresentanti diventa la seconda forza in parlamento.

Il 15 novembre il presidente Saied ha incaricato, su indicazione di Ennahda, l’indipendente Habib Jemli di formare un nuovo governo. Tuttavia, dopo una serie di trattative che si sono protratte fino al nuovo anno, il 10 gennaio il governo proposto da Jemli è stato respinto dal parlamento tunisino, con una votazione che ha visto 134 voti contrari e soltanto 72 voti favorevoli.[6]

Un nuovo tentativo per la formazione di un governo è stato affidato il 21 gennaio a Elyes Fakhfakh, ministro delle Finanze tra il 2011 e il 2013. Fakhfakh è stato scelto direttamente dal presidente Saied per la formazione di quello che sarebbe di fatto un “governo del presidente”, e del quale dovrebbe entrare a far parte un alto numero di indipendenti. Il premier designato ha affermato di aver identificato una potenziale coalizione di governo sulla base dei risultati del secondo turno delle presidenziali, preferendo quindi lavorare con quelle forze politiche che hanno sostenuto Kais Saied al ballottaggio. I partiti che dovrebbero dunque appoggiare il suo governo saranno in primis Ennahda, Tahya Tounes, il movimento Echaab, Attayyar e la coalizione al-Karama, mentre dovrebbero rimanere all’opposizione il partito di Karoui, Qalb Tounes, e il Partito Desturiano Libero.[7] Tuttavia, il processo di formazione rischia di venir complicato dalla recente richiesta di Ennahda, prontamente rigettata da Fakhfakh, di includere tra le forze di maggioranza anche Qalb Tounes, con l’obiettivo di dar vita a un governo di unità nazionale.[8] Secondo la Costituzione tunisina, la proposta di governo presentata dal premier designato dovrà essere approvata entro un mese dal conferimento dell’incarico. In caso di mancato sostegno del parlamento alla proposta, si andrà a nuove elezioni.

In questo contesto di incertezza politica e istituzionale, l’andamento dell’economia tunisina alla fine del 2019 ha confermato il trend negativo che l’ha caratterizzata nel corso di tutto l’anno. Le stime di crescita dell’economia del paese sono state ridotte per il 2019 all’1,5%, contro il 3,1% indicato da stime precedenti.[9] La produzione industriale ha registrato nei primi dieci mesi del 2019 un calo del 3,5%, spinta in basso in particolare dal settore energetico.[10]

La scarsa crescita del paese rimane tra le prime cause dell’alto tasso di disoccupazione nel paese (15,35%), che raggiunge livelli di allarme tra i giovani tunisini (34,81%).[11] L’inflazione nel 2019 si è attestata su una media del 6,7%, contro il 7,3% del 2018.[12] Nonostante il calo anno su anno, l’alto tasso di inflazione è uno dei principali rischi per la crescita economica e il benessere dei cittadini tunisini, i quali negli ultimi anni hanno visto fortemente ridotto il loro potere d’acquisto.

È inoltre importante sottolineare come nel prossimo futuro il cambiamento climatico rischia di essere un fattore centrale nel deterioramento dell’economia del paese e della qualità di vita della popolazione. Le stime più conservative indicano rispetto all’anno 2000 un aumento delle temperature annuali di circa 1°C (0.98-1.06°C) entro il 2030, mentre le stime riguardanti le precipitazioni piovose predicono un calo compreso tra il 4% e il 36% entro il 2050. La riduzione delle precipitazioni e l’aumento della temperatura avranno un impatto negativo su due importanti settori economici – l’agricoltura e il turismo – e intensificheranno il già importante stress idrico a cui è attualmente sottoposta la Tunisia. Inoltre, l’innalzamento del livello del Mar Mediterraneo, previsto tra i 9,8 cm e i 25,6 cm entro il 2050, aumenterà l’attuale erosione delle spiagge sabbiose e l’intrusione di acqua salata nelle falde acquifere costiere.[13]

Un segnale positivo per il paese sembra arrivare invece dal fronte della sicurezza interna che, nonostante l’ombra lunga del conflitto libico, negli ultimi anni è nettamente migliorata. È tuttavia importante ricordare come nelle aree montuose del nord-ovest della Tunisia sia da anni in corso un’insurrezione a bassa intensità, portata avanti da due gruppi jihadisti, il primo parte di al-Qaida nel Maghreb Islamico e il secondo legato all’autoproclamatosi Stato Islamico. Negli ultimi nove anni gli scontri con questi gruppi hanno provocato la morte di 150 terroristi, mentre oltre 300 membri delle forze armate e di polizia tunisine sono stati uccisi o feriti.[14]

Sempre in tema di sicurezza interna, va rilevato come il presidente Saied abbia anch’egli prorogato già in due diverse occasioni lo stato di emergenza nazionale, in vigore da ormai quattro anni.[15] Numerosi esponenti della società civile si erano appellati al presidente affinché non prorogasse lo stato di emergenza, definito in precedenza da lui stesso dichiarato “illegittimo e senza motivo”. L’Osservatorio per i diritti e le libertà tunisino ha inoltre richiesto che il parlamento acceleri la creazione di una Corte costituzionale, assente dal 2011, e promulghi una legge che regoli l’utilizzo dello stato di emergenza.[16]
 

Relazioni esterne

Nell’ultimo trimestre, con l’inasprirsi del conflitto, la questione libica è diventata un tassello sempre più centrale della politica estera tunisina.

Il presidente Saied ha reiterato in più occasioni l’intenzione di mantenere la Tunisia in una posizione equidistante tra i due schieramenti che si affrontano in Libia, affermando anche che qualsiasi tipo di accordo internazionale non sarà percorribile se non verrà approvato dai libici stessi. In quest’ottica, il presidente tunisino ha affermato di condividere con l’Algeria un approccio comune alla crisi libica, basato sullo sviluppo di una road map che porterà a una soluzione duratura della crisi, nell’ambito di un dialogo intra-libico.[17]

La Tunisia ha rifiutato di prendere parte alla conferenza di Berlino sulla Libia del 19 gennaio, dalla quale era stata inizialmente esclusa. Avendo ricevuto un invito formale soltanto il 17 gennaio, il suo rifiuto è stato motivato con l’impossibilità di partecipare all’evento a causa del ritardo nell’invio dell’invito, e della mancata partecipazione del paese ai lavori preparatori della conferenza. In una telefonata tra il presidente Saied e Angela Merkel, la cancelliera tedesca ha assicurato che il paese sarà incluso in tutte le prossime iniziative relative al file libico.[18]

A causa dell’inasprirsi degli scontri nel paese limitrofo, a partire dallo scorso dicembre la Tunisia ha innalzato al massimo grado il livello di allerta delle sue truppe e forze di sicurezza presenti lungo il confine libico.[19] Il 5 gennaio le forze di sicurezza tunisine hanno confiscato nei pressi di Beni Khedache un carico di 35 fucili d’assalto di fabbricazione turca, un segnale preoccupante di come l’afflusso di armi verso la Libia rischi di avere ricadute anche sulla sicurezza interna della Tunisia.[20]

Un’ulteriore fonte di preoccupazione relativa al conflitto libico riguarda il potenziale afflusso di profughi in Tunisia qualora si verifichi un’ulteriore recrudescenza degli scontri. Secondo un membro del ministero degli Affari Sociali tunisino, il numero di rifugiati potrebbe raggiungere le 25.000 unità in caso di un’escalation delle operazioni militari in Libia.[21]

A questo riguardo il presidente Saied si è appellato alla comunità internazionale, e in particolar modo all’Unione europea, affinché fornisca alla Tunisia le risorse finanziare necessarie ad affrontare gli effetti della crisi libica.

Un’ulteriore sfida in ambito internazionale per la Tunisia riguarda il suo mandato come membro non permanente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che il paese ha assunto il 1° gennaio 2020. A questo proposito il ministero degli Esteri tunisino ha dichiarato che la questione palestinese e il conflitto libico saranno tra le tematiche su cui si concentreranno gli sforzi della Tunisia nel corso del suo mandato.[22]